Non passa giorno che aumenta l'attacco al cd precariato, fonte, secondo molti (troppi), dei peggiori disastri dell'umanità.In sintesi: chi è precario non può sposarsi perchè non può progettare una vita a lungo raggio, vive sempre nell'incertezza ect.Ora c'è da chiedersi se il disoccupato stia meglio del precario.Perchè questa è l'alternativa.I precari vogliono tornare a fare i disoccupati? Non mi sembra che la legge obblighi alcuno ad esser precario.Le porte della disoccupazione sono sempre aperte:venghino signori venghino.Non mi sembra di avere sentito di alcun precario che si sia licenziato.La protesta allora rimane solo nelle parole e non si esplica nei fatti.Si dice:"Ma come può un giovane programmare un famiglia, sposarsi?" Chiederei a lor signori se un giovane libero professionista o un imprenditore non viva nel peggiore (perchè elitario) e continuo (perchè per tutta la vita) precariato.Trattasi di gente che rischia e che da un momento all'altro potrebbe trovarsi senza introiti.E' o non è questa una forma di precariato? Come mai nessuno ne parla? E' semplicemente delirante che si parli di precariato in modo negativo quando in tutta Europa lo si pratica da anni ed in America da decenni.Forse in questi Paesi non si sono create famiglie, o c'è poca ricchezza? Tutt'altro.Si dà il caso che l'Italia (senza precariato) fosse da tempo la Nazione con meno natalità nel mondo.Il neocantore dei precari è tale Sig. Grillo Giuseppe (chiamato Beppe Grillo) che è l'archetipo del radical chic miliardario.Quando mai lui ha fatto il datore di lavoro o il lavoratore per potersi arrogare il diritto di fare il maisaniello del popolo?Il precariato concede la possibilità a tutti di cambiare sempre lavoro e quindi di non dovere svolgere per tutta la stessa vita sempre la stessa grigia occupazione.Il precariato è una risorsa perchè porta all'efficenza.Chi sa di essere sul filo del rasoio lavora alacremente.Un buon rimedio ,quindi, ai "fannulloni" (leggasi fancazzisti) sul lavoro.Io sarei per generallizzare (quindi per allargare) il precariato.Ovvero convertire tutti i contratti a tempo indeterminato in contratti precari sicchè non si parlerà più di discriminazione tra lavoratori e tutti si potrà dare il massimo.Non è forse questa una forma di uguaglianza ( tanto decantata dai veterocomunisti?).
sabato 22 settembre 2007
Il precariato è una grande risorsa per i precari:generalizziamo il precariato!
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9 commenti:
immagino che tu sia un precario
credo che tu non sia mai stato un precario.... forse se ti capitasse riusciresti a capire la moltitudine di problemi che puo' creare alle persone che lo sono...
non puoi programmarti nulla, un giorno hai il tuo (misero) stipendio e il giorno dopo...PUFF! non hai piu' niente (anche se hai lavorato duramente e con scrupolo).
Leggo dalle informazioni personali che tu scrivi il blog fuori dal coro... forse meglio riflettere sulle cose e poi formulare giudizi, piuttosto che fare il controcorrente a tutti i costi, indiscriminatamente, difendere tutto ciò che è nell'occhio del ciclone, senza chiedersi prima se a ragione o torto...
a me piace il grigio (quindi mi piacerebbe avere un lavoro fisso per tutta la vita grigia!) e poi non ti devi permettere di generalizzare. C'è chi ha un posto fisso e lavora. Forse tu sei nell'altra categoria: fisso e che non fa un cazzo per tutto il giorno e a fine o metà mese prende il suo stipendio. Bella faccia da culo....
Prova a vivere fuori regione (dal Sud al Nord), con affitti e cazzi vari e 600 euro al mese.
Forse paparino ti ha mantenuto o ti mantiene ancora?
Il precariato è solo un pretesto per dire "...azz quanta gente lavora in Italia!" (la stessa storia per le lauree brevi!!!n.d.r.)ma solo per avere un dato puntuale. Ma se si considera un range temporale più grande le cose sono molto molto molto diverse, molto.
AMMAZZATI COGLIONE!
SUCA TESTA DI MINCHIA
se siete precari e non vi va perchè avete accettato?
lasciate il lavoro agli altri
sono parzialmente d'accordo questa volta...
La politica nell'ultima campagna elettorale si è spellata la lingua nel dichiararsi contro la precarietà nel mondo del lavoro ed ha dichiarato di voler ABOLIRE tale barbarie sociale.
Noi giovani che probabilmente siamo un pò più intelligenti di certi politicanti e di certi comici che parlano per slogan di cose che nemmeno conoscono, forse abbiamo un’idea leggermente diversa sul tema:
dichiarasi a favore o contro la flessibilità nel mondo del lavoro è da idioti perché non si possono avere posizioni aprioristiche su tale tema.
Faccio un paio di esempi:
1) in un’economia che funziona, flessibilità molto spesso è sinonimo di riallocazione immediata della forza lavoro nei settori produttivi che si dimostrano in un determinato momento più trainanti rispetto ad altri ( se oggi tira più la produzione di bulloni, il contabile, l’operaio ed il magazziniere si riallocheranno immediatamente in tale settore)
Al contrario in un’economia come quella italiana, la flessibilità è solo un voler trasferire il rischio d’impresa sui lavoratori ( se io sono un imprenditore e sono tartassato dalle tasse, vendo poco o voglio più utili, basta cacciare un pò di precari e così torno competitivo);
2) In un certo senso la flessibilità ha dato una mano ai giovani alle prime armi nei primi approcci con il mondo del lavoro permettendo di entrare sicuramente con rapporti instabili nelle aziende ma altrettanto sicuramente di riempire un curriculum che altrimenti sarebbe rimasto vuoto.
Da questi due esempi si evince che non ci sono crociate da fare sulla flessibilità ma semmai bisognerebbe orientarsi ad avversare quei meccanismi che trasformano la flessibilità in una sorta di precariato cronico e di lunga durata; in altri termini bisogna solo porre degli argini alla legge 30… e vabbè che devo fare esperienza ma non mi puoi farmi fare l’atipico a vita !!!
Ma analizziamo meglio le cose:
La progressiva diffusione dei contratti cosiddetti "atipici” ha ormai assunto, nel bene e nel male, un ruolo di rilievo nella dinamica dell’occupazione tanto che si può far risalire la ripresa occupazionale italiana all'inizio del 1998 con l’adozione del pacchetto Treu, che favoriva l’utilizzo di forme di lavoro a termine e a tempo parziale.
La riforma Maroni non ha fatto altro che proseguire nella deregulation iniziata nel ’98.
Da allora, infatti, la quota dei lavoratori impiegati a part time sul totale dei dipendenti è passata dal 7% a oltre il 12% nell’intera economia, arrivando a oltre il 16% nel settore terziario privato(Dati del 2003).
Anche i lavoratori a tempo determinato sul totale dei dipendenti salgono a loro volta, negli ultimi quattro anni, dal 7% a oltre il 12% se si escludono gli addetti all’agricoltura e al settore turistico-commerciale, dove è sempre stata alta l’incidenza dei lavoratori stagionali. Più elevata è, inoltre, la quota delle donne con contratti a termine e, soprattutto, quella dei giovani con meno di trent’anni, che raddoppia rispetto alla media degli occupati.
Ma è significativo anche l’aumento dei lavoratori assunti a tempo indeterminato e a tempo pieno, la cui dinamica nel corso del 1999-2003 ha chiaramente beneficiato degli incentivi (credito d'imposta) introdotti dalla Finanziaria 2001 per i nuovi occupati a tempo indeterminato e in seguito parzialmente confermati.
Se l’occupazione flessibile e precaria è considerata un fattore in grado di influenzare positivamente le statistiche, ritengo che sia fattore in grado soprattutto di influenzare negativamente la vita di tutti quei giovani che, accettando all’inizio della loro carriera lavorativa la flessibilità come buon modo per affacciarsi al mercato del lavoro, ne sono rimasti pian piano intrappolati.
La situazione complessiva del sistema Italia è abbastanza deludente e la lunghezza del ciclo economico negativo ha avvolto il nostro Paese in una spirale stagflattiva dalla quale difficilmente ci si potrà sottrarre se non con la radicale inversione di tendenza delle strategie economiche del nostro Paese.
Gli artifici finanziari dei Governi succedutesi negli anni capaci solo di fare cassa, le manovre non strutturali sui conti pubblici ed il mancato aggancio della ripresa economica mondiale, difficilmente permetteranno a questo Governo come altri Governi di liberare risorse fresche, utili ad intervenire nei settori nevralgici del malessere Italiano.
Certo se si evitassero demagogie e si indirizzassero i vari tesoretti alla riduzione del debito Pubblico, beh forse qualche risorsa fresca e strutturale la si riuscirebbe a recuperare.
L’economia reale del nostro Paese soffre la scarsa competitività nel settore dei servizi ove c’è poca concorrenza e la dinamica dei prezzi contribuisce massicciamente all’aumento dell’inflazione, elemento che più di ogni altro frena i consumi interni nel nostro Paese ed inficia la fiducia dei mercati e delle famiglie.
Se il sistema produttivo italiano, lungi dall’avere regali fiscali per giunta indirizzati quasi esclusivamente alle grandi imprese, avesse ottenuto dai Governi un concreto e generalizzato sgravio del costo del lavoro, forse avrebbe guadagnato in termini di competitività sui mercati esteri ed interni, avrebbe controllato la dinamica dei prezzi ed avrebbe raggiunto risultati lusinghieri in termini di occupazione stabile senza puntare sulla precarietà selvaggia.
Chiaramente, oltre all’inflazione cavalcante le famiglie hanno risentito di questa ondata di flessibilità selvaggia e miope che ha funzionato più come slogan che come moltiplicatore sull’occupazione.
La flessibilità, infatti, non è elemento che può aprioristicamente rendere virtuose le dinamiche occupazionali, non tanto dal punto di vista quantitativo quanto qualitativo.
In Italia, infatti, i contratti atipici hanno contribuito ad aumentare in termini meramente contabili il saldo occupazionale ma hanno diffuso un’incertezza ed un malessere sociale che ha paralizzato il sistema Paese.
Una politica del lavoro che non argini il ricorso sistematico e l’abuso del del precariato lavorativo per i giovani è definibile come liberismo selvaggio, far west e macelleria sociale.
Parimenti una politica del lavoro che miri ad abrogare la Legge Biagi, sarebbe definibile come demagogica e dannosa.
Per porre in essere una politica del lavoro che venga incontro alle esigenze delle nuove generazioni e della famiglia, forse sarebbe corretto non abolire tutte le forme di lavoro flessibile, ma correggerne le storture.
La legge 30 va emendata in modo che siano ben definiti e ristretti gli ambiti di applicazione del lavoro precario di cui oggi si abusa e che ad un aumento dell’insicurezza lavorativa corrisponda il giusto contrappeso in termini di ammortizzatori sociali e retribuzione..
E’ necessario che si limiti il pericolo del precariato cronico impedendo con sanzioni pesanti ai datori di lavoro di contrattualizzare perpetuamente lo stesso lavoratore a tempo determinato ricorrendo a semplici tecniche di elusione delle norme.
Sarebbe forse efficace incentivare le imprese ad assumere precari attraverso sgravi sul costo del lavoro proporzionali all’anzianità di precariato del lavoratore che assorbono con un contratto a tempo indeterminato e scoraggiando nel contempo il precariato perpetuo attraverso la progressività degli oneri a carico azienda calmierata sempre sull’anzianità di precariato del lavoratore.
Il Governo dovrebbe sostenere con maggiore forza il programma di riduzione del costo del lavoro rimodulando al rialzo gli oneri contributivi sul lavoro flessibile ed al ribasso quelli sui nuovi assunti stabilmente…. Invece per abolire lo scalone ha fatto l’esatto contrario !!!
E’ necessario riformare la Legge Biagi inserendo gli opportuni meccanismi di protezione sociale sui lavoratori espulsi dai processi produttivi aiutandoli nel loro iter di riconversione e riqualificazione e nella ricerca di una nuova occupazione.
Sarebbe anche importante che il Governo emendasse la Legge Biagi prevedendo pene più severe sul lavoro nero e sull’elusione delle norme come ad esempio il meccanismo del contratto a tempo determinato con successiva proroga, poi stacco di 20 giorni e successivo contratto a tempo determinato.
Tale meccanismo è attualmente consentito ed è il principale responsabile del cosiddetto precariato cronico.
Si tratta di tecniche che andrebbero scoraggiate oltre che vietate.
Urge riordinare un settore come quello delle norme in materia di diritto del lavoro, deturpato da una corrente di pensiero trasversale in base alla quale quanto maggiore è la flessibilità tanto più si sviluppa il mercato del lavoro.
L’incertezza sul futuro manifestata a più riprese dai giovani è li a dimostrare che tale assioma è errato se non prevede un argine a tali meccanismi.
L’ instabilità del lavoro, oggi più che mai costituisce il principale elemento frenante per la formazione di nuove famiglie, per la natalità, per la dinamica dei consumi e quindi per lo sviluppo del nostro Paese..
Non posso non ricordare inoltre che recenti studi hanno messo in evidenza nessi di causalità tra salute e stabilità lavorativa evidenziando che chi gode di forme contrattuali e retributive migliori, si sottopone più frequentemente a controlli medici e terapie preventive .
Allora smettiamo di credere alla favole di chi ci racconta che la flessibilità è un male e di chi ci viene a dire l’esatto contrario; sono le solite semplificazioni di una classe politica buona solo a sculettare in televisione.
ok geronimo si può migliorare il precariato ma è un punto fermo per il progresso mondiale
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